Non danno cenni di cedimento le proteste iniziate in Iran lo scorso 16 settembre. A dare il via
all’ondata la morte della ventiduenne Mahsa Amini, arrestata e condotta in un centro di detenzione
dalla “polizia della moralità” per non aver indossato correttamente l’hijab. Amini è stata brutalmente
pestata dalle forze dell’ordine, riportando una grave frattura al cranio, ed è deceduta dopo un seguente
giorno di coma.
Le proteste, che secondo la giornalista e attivista iraniano-statunitense Masih Alinejad sono prime nel
loro genere data la presenza di uomini a sostegno delle donne, proseguono innanzitutto nel territorio
iraniano ma guadagnano grande sostegno anche all’estero. Con lo slogan “Donna, Vita, Libertà”, le
donne protestano bruciando il proprio hijab o tagliandosi i capelli. Quest’ultimo gesto, in particolare,
fa riferimento ad un’usanza iraniana e dei paesi limitrofi e simboleggia il lutto, spiega la poetessa
iraniana Bita Malakuti: vuole eclissare il personale senso estetico per dar spazio ad un profondo senso
di tristezza.

Cresce, insieme alle proteste, anche la repressione da parte del governo iraniano e delle forze
dell’ordine, come denuncia anche Amnesty International, con misure che variano dall’uso di gas
lacrimogeni all’utilizzo di manganelli o ancora a violenza contro le donne, afferrandole per i capelli o
per i seni. Dati provenienti da ONG, tra cui figura la Iran Human Rights con sede ad Oslo, in
Norvegia, contano 83 vittime e oltre 3000 arresti. Ad ogni modo, il blocco internet disposto dal
governo iraniano rende difficoltoso ricorrere a dati maggiormente precisi per entrambi i casi. Il motivo
del blocco è quello di limitare le comunicazioni, interne ed esterne, e la visibilità dei manifestanti dato
che le proteste, che hanno come obiettivo non l’abolizione del velo ma l’abolizione dell’obbligo di
indossarlo, sono riuscite a riscuotere grandi attenzioni anche grazie all’aiuto dei maggiori social
network, dove sono stati diffusi video di denuncia come scene delle proteste.
Altamente degni di nota anche il recente rifiuto del presidente iraniano Ebrahim Raisi di essere
intervistato dalla giornalista britannico-iraniana Christiane Amanpour, della CNN, dopo che
quest’ultima ha rifiutato la richiesta del presidente di indossare il velo e la scelta da parte della
nazionale iraniana, durante un’amichevole contro il Senegal giocato lo scorso 27 settembre, di
indossare un giubbotto nero per coprire le magliette ufficiali durante l’inno nazionale.
Le donne continuano a battersi per i propri diritti, contro la gestione patriarcale dello stato, con
proteste che, anche consistenti in scoprire pochi centimetri di capelli, vanno avanti da anni. Nel
frattempo continua l’assidua pubblicazione sui social di video di donne da ogni parte del mondo che si
tagliano i capelli in sostegno alle proteste, come quello della operatrice umanitaria anglo-iraniana
Nazani Zaghari Ratcliffe, pubblicato dalla BBC, in cui dichiara: “per mia madre, per mia figlia, per le
donne del mio paese, per la libertà”.
Martina Russo